CAMPO APERTO - Francesco Carone. Ciclope

Pubblicato Venerdì, 16 Novembre 2018
Data di scadenza Giovedì, 28 Febbraio 2019
Museo Novecento
Piazza Santa Maria Novella, 10
FIRENZE

Dal 16 novembre al 28 febbraio 2019 nuovo appuntamento del ciclo Campo Aperto e la personale di Francesco Carone con opere inedite realizzate per l'esposizione fiorentina

Nuovo appuntamento autunnale al Museo Novecento con il ciclo Campo Aperto. Il 16 novembre apre la mostra personale “Ciclope” di Francesco Carone a cura di Rubina Romanelli, che si sviluppa tra il primo e il secondo piano del museo. Le due salette al primo piano ospitano l’opera site–specific che dà il titolo alla mostra e che, seppur separato da un muro, risulta un unico lavoro. Nella prima stanza è collocata una testa in marmo, un ciclope appunto, il cui unico occhio è attraversato da un tubo di ottone all'interno del quale lo spettatore è invitato a guardare. Il tubo-cannocchiale parte dalla testa, sfonda la parete divisoria e finisce nella stanza adiacente, concentrando lo sguardo sul dipinto Tempesta, che si trova appeso nella sala interdetta al pubblico. La tela non è stata dipinta da Francesco Carone, l’artista l’ha preparata e poi affidata ad altri artisti, tutti pittori, che l’hanno ridipinta con innumerevoli strati successivi. Il quadro, iniziato nel 2013, è quindi un’opera aperta e in progress e non avrà mai termine, finché altri artisti saranno convocati a continuare questo processo, che è di creazione e di cancellazione al tempo stesso. Sul dipinto sono già intervenuti Eugenia Vanni, Luca Bertolo, Paolo Parisi, Luca Pancrazzi, Marco Neri, Maria Morganti e Alessandro Sarra.

Anche durante la mostra fiorentina il quadro subirà questo processo di trasformazione. In questa occasione sarà Riccardo Guarneri (Firenze, 1933) a intervenire sulla superficie, offrendo allo spettatore la possibilità di osservare dal vivo il processo creativo nel suo realizzarsi. “L'apparente rinuncia all'autorialità – spiega la curatrice Rubina Romanelli - va a favore della mutevolezza nel tempo e nello spazio e intende essere un omaggio alla pittura sebbene, spostando l'attenzione sugli strati successivi, e quindi sullo spessore della tela e sulla terza dimensione più che sulla sua superficie, l'artista tenti, con una sorta di inganno degno dell'Ulisse omerico, di trasformare questa summa pittorica in una vera e propria scultura, arte a lui prediletta e naturale”. L’intero progetto è una “citazione artistica”, del racconto omerico dove l’occhio del ciclope viene trafitto da Ulisse, il quale riesce così a fuggire e a riprendere il mare aperto nel tentativo di ricongiungersi con Penelope. “Quindi Carone-Ulisse – afferma Sergio Risaliti – esorcizza la pittura, cancellandola per trasformarla in scultura”.

Le opere esposte al secondo piano si riferiscono all’universo femminile nonché al mondo marino e sommerso. Nella prima sala, è collocata una transenna tra le cui sbarre si legge Les Lesbiennes, titolo originale e rifiutato della celebre opera letteraria Les Fleurs du mal di Baudelaire. Un’opera graffiante e ribelle, in cui la mercificazione dell’erotismo è letteralmente inserita in una barriera fisica e simbolica. Nella stanza attigua trovano spazio ancora tre opere site-specific. Nei due lavori che si fronteggiano sulla parete destra e sinistra si leggono le scritte Afrodite Anadiomene e La femme à la vague, in un dialogo ideale tra due grandi momenti della storia dell’arte: quello greco classico di Apelle e quello realista di Gustave Courbet, il cui soggetto rimane la donna bagnante che, sistemandosi i capelli, emerge dall’acqua. Nella parete frontale appare la forma di mandorla o vesica piscis, segno universale e primordiale della femminilità e della nascita, ovviamente, e citazione, anche nel titolo, della botticelliana Nascita di Venere. Tutte e tre le opere vedono l’impiego della posidonia, pianta acquatica che l’artista ha raccolto ed essiccato. Altra opera presente in sala è Menadi, un piccolo mucchio di foglie fustellate simili a coriandoli. Così come le foglie cadute di cui è materialmente costituito il lavoro, i coriandoli rappresentano un momento di leggerezza, di festosità ma anche di caducità. Il culto dionisiaco evocato dal titolo – menadi, dette anche baccanti – si allaccia al tema del femminile, un altro capitolo del racconto di Carone sulla storia dell’arte e sul mito.

Punti che ricuciono la mostra tra il primo ed il secondo piano, sono due bastoni appoggiati alle pareti, uno a quattro e l’altro a tre manici, a indicare le direzioni e le possibilità di scelta che nella vita si riducono con l’avanzare del tempo. I bastoni, intitolati “Profeta #1” e “Profeta #2”, sono stati realizzati a distanza di 10 anni e fanno parte di un progetto dilatatosi nel tempo che l'artista intende portare avanti in un “processo a scalare”, giungendo infine al bastone ad un solo manico, riportato alla sua funzione originaria: quella di sostegno alla vecchiaia.

Nato a Siena nel 1975, dove vive e lavora, Francesco Carone si dedica prin­cipalmente alla scultura e alla grafica, combinando un approccio di natura concettuale a una tendenza narrativa. Ideatore di vari progetti in progress, tra i quali Tempozulu e TITOLO l’edito inedito, insieme ad Eugenia Vanni dirige il Museo D’Inverno a Siena, fondato nel 2016. Da anni riflette sui temi della tra­sformazione e della circolarità dei processi creativi. La sua ricerca parte da una rilettura personale dell’universo che lo circonda, del mito, della storia e della pratica dell’arte. Considerando la bellezza non come categoria estetica ma come una deriva dello stupore, realizza progetti, libri e opere che si coa­gulano attorno a un tema o a un pensiero dominante, dove l’aspetto evocativo del linguaggio risulta sostanziale.