Data di scadenza Giovedì, 28 Marzo 2019
Dal 20 dicembre al 28 marzo 2019 torna a Firenze per la prima volta dopo un secolo una mostra di Medardo Rosso, il più grande scultore italiano della modernità
Dopo Emilio Vedova e Piero Manzoni, il terzo appuntamento – Solo. Medardo Rosso, curato da Marco Fagioli e Sergio Risaliti – apre al pubblico il 20 dicembre (fino al 28 marzo) per celebrare le opere di uno scultore straordinario, sperimentatore e anticipatore indiscusso della contemporaneità. Lo stesso che nel 1910 in occasione della “Prima mostra italiana dell’Impressionismo e di Medardo Rosso” e per iniziativa di Ardengo Soffici, di Giuseppe Prezzolini e della rivista “La Voce”, venne riconosciuto come “Maestro della Scultura europea proteso nella Modernità”.
Le sei sculture esposte eccezionalmente al Museo Novecento (Portinaia, Grande Rieuse [Ragazza che ride], Grande Rieuse [Ragazza che ride], Enfant à la bouchée de pain [Bambino alle cucine economiche], Enfant à la bouchée de pain [Bambino alle cucine economiche], Enfant Juif [Bambino ebreo]), due delle quali provenienti dalla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, documentano il livello altissimo a cui Rosso era giunto nella ridefinizione della scultura e l’inferenza della sua opera con quelle dei maggiori artisti del tempo. Infatti le Rieuses (1890-1891) nelle loro diverse varianti sono in aperto dialogo con dipinti come La chanson du chien di Degas, 1876, raffigurante la cantante Emma Valadon. I ritratti di Rosso, che è stato senza dubbio il maggiore ritrattista del secolo in scultura, restituiscono il punto più avanzato, con quelli pittorici di Degas, della ricerca nel campo di analisi psicologica e fisiognomica del soggetto e per la profonda comprensione delle nuove possibilità compositive e di messinscena dedotte dal confronto con la fotografia e il cinema.
La mostra di Firenze propone un percorso di rilettura dell’opera dello scultore fuori della consueta visione codificata di un Rosso prima naturalista e poi simbolista, per segnalare invece la sua assoluta originalità e specificità nell’ambito dell’arte moderna. L’esposizione offre l’opportunità per la prima volta di mettere a diretto confronto in una analisi “testuale” due diverse varianti dello stesso soggetto, Enfant à la bouchée de pain [Bambino alle cucine economiche] e La Rieuse [Ragazza che ride], permettendo così di capire il “work in progress” di Rosso, grande sperimentatore di tecniche e di linguaggio. La ricerca rivoluzionaria sul soggetto si traduce in sculture di piccole dimensioni, antimonumentali, caratterizzate da superfici scabre, in molti casi espressione di processi artigianali che vengono gestiti in autonomia dallo stesso Rosso nel suo atelier, vera e propria fucina alchemica moderna. Alla sua peculiare indagine sull’arte plastica si affianca, influenzandola e restandone influenzata, la sperimentazione in ambito grafico e fotografico, in cui si accentua la passione per il frammento e il taglio compositivo e per la componente vibratile e fantasmatica dell’immagine. “Artefice di una ricerca dal respiro europeo, che travalica i confini nazionali per aprirsi ad una riflessione universale e ‘apolide’, Medardo Rosso può essere considerato come un precursore dell’elaborazione concettuale intorno alla ‘serialità’, caratteristica che lo rende particolarmente vicino alla pratica contemporanea dell’Arte Minimal e Concettuale – ha detto Sergio Risaliti -. Così come il suo lavoro sull’informe e la pelle della scultura ne ha fatto un punto di riferimento per gli artisti di tutto il Novecento, da Jean Dubuffet a Giuseppe Penone, dall’Art Brut all’Arte Povera”.
Osteggiato dalla critica italiana (Ugo Ojetti e Margherita Sarfatti), che lo aveva chiuso nell’ambito della Scapigliatura lombarda, e dalla cultura artistica accademica, lo scultore, che pure era stato protagonista riconosciuto dall’arte plastica nella Parigi degli ultimi decenni del secolo precedente, Rosso è divenuto via via nel Novecento, per la sua anticipazione della Modernità, l’importante punto di riferimento delle generazioni successive, da Boccioni a Manzù da Marini a Fontana. Boccioni che più di tutti si era accorto dell’importanza di Rosso come rinnovatore della scultura, scriveva nel 1914: “L’opera di Medardo Rosso è invece rivoluzionaria, modernissima, più profonda e necessariamente ristretta. In essa non si agitano eroi né simboli, ma il piano d’una fronte di donna o di bimbo accenna a una liberazione verso lo spazio, che avrà nella storia dello spirito una importanza ben maggiore di quella che non gli abbia dato il nostro”. Nonostante il numero limitato dei suoi soggetti, poco più di settanta sculture, Rosso lavorò incessantemente attraverso repliche e varianti nel gesso, cera e bronzo ai suoi soggetti e nel processo creativo utilizzò anche la fotografia come la mostra documenta ampiamente presentando ben 19 fotografie a contatto da lastre originali.
A cura di Marco Fagioli e Sergio Risaliti . Un ringraziamento particolare va a Mag Jlt e Faliero Sarti.