Data di scadenza Giovedì, 04 Luglio 2019
Dal 12 aprile al 4 luglio 2019 terzo appuntamento con la rassegna video ideata da Beatrice Bulgari per In Between Art Film a cura di Paola Ugolini per la Sala Cinema del Museo Novecento
Fa parte del progetto Substainable Thinking, in collaborazione con Fondazione Ferragamo e Museo Salvatore Ferragamo e vuole mostrare, il lavoro di dieci artisti internazionali (Masbedo, Janis Rafa, Oliver Ressler, Salvatore Arancio, Shadi Harouni, Sigalit Landau, Elena Mazzi e Sara Tirelli, José Guerrero con Antonio Blanco, Rä di Martino) e il loro rapporto con il mondo vegetale e animale. La natura, intesa sia come forza generatrice, spiritualmente connessa con la vita umana sia come simulacro di un presente angosciante, è il filo conduttore del progetto. Con le loro opere questi artisti ci invitano a riflettere sulla nostra esistenza. Il mondo in cui viviamo è in grave pericolo, l’ecosistema è seriamente minacciato da uno sfruttamento sistematico e non etico delle sue risorse. Il problema è globale ed è un problema politico più che tecnico o scientifico e gli artisti, come moderne Cassandre, ci stanno mettendo in guardia.
L’opera di Janis Rafa (Atene, 1984) indaga la condizione di mortalità, lutto e melanconia in relazione al mondo naturale. Le sue narrazioni sono spesso situate ai margini della realtà urbana, in luoghi inospitali e sinistri. La natura criptica ma universale di questi mondi cinematografici incomincia sempre con un certa dose di realismo piuttosto spiazzante perché ha molto poco in comune con la sua usuale rappresentazione. Quella di Janis Rafa è una realtà sdrucciolevole che ci porta in una dimensione sospesa fra sogno e sensualità terrena in cui i morti e i vivi, gli esseri umani e i non umani coesistono con una certa inaspettata armonia. Nel video Winter Came Early (2015) l’impatto violento di una macchina scrolla vigorosamente un mandorlo per dieci secondi, provocando la caduta prematura delle foglie. L’azione è catturata da una fotocamera ad alta velocità a 2000fps. L’opera è una lucida metafora dell’intervento brutale dell’uomo sulla natura e allo stesso tempo della caducità della vita.
Oliver Ressler (Knittelfeld, 1970) nel video Leave it in the ground (2013) ci mostra come il cambiamento climatico non sia più un fenomeno da immaginare come oscura minaccia futura ma come tragico evento già in fieri. Le sue nefaste conseguenze sono la progressiva desertificazione delle aree coltivabili, la maggiore siccità, le precipitazioni meno frequenti ma più violente e dannose, gli inferiori rendimenti delle colture, un insieme di fattori che stanno inasprendo i conflitti sociali e di cui molte popolazioni stanno già soffrendo. Il cambiamento climatico ha aumentato la povertà e la violenza, le migrazioni di massa, le crisi sociali e le guerre civili che sono diventate guerre fra poveri. Purtroppo i poteri forti, nonostante i chiari avvertimenti dei molti disastri ambientali avvenuti negli ultimi anni, non hanno ancora messo in atto una seria strategia per ridurre l’uso di carburanti fossili che sono la causa principale del riscaldamento globale. È come se una sorta di fondamentalismo procombustibile fossile stia dominando il nostro pianeta che, se non saprà fermarsi in tempo, ne verrà travolto. Leave it in the ground descrive la crisi climatica non come un problema tecnico o scientifico ma principalmente come un problema politico
L’artista israeliana Sigalit Landau (Gerusalemme, 1969) nelle sue opere mette in scena delle narrazioni che documentano, presuppongono o prefigurano un’azione. Quello che l’artista vuole realizzare, con un approccio multimediale, è un mondo poetico capace di creare “nuove realtà emotive” che possano avere una presa diretta sulla vita con le sue profonde e spesso dolorose contraddizioni. La desolata bellezza delle acque del Mar Morto, un lago salato che bagna Israele, Cisgiordania e Giordania le cui rive si trovano 400 metri sotto il livello del mare, è da quindici anni il suo posto del cuore, perché “…credo che questo sia il luogo dove verità e spiritualità diventano realtà quasi tangibili..”. Nel video Salt Lake (2011) un paio di scarponi da lavoro ricoperti di sale del Mar Morto cristallizzato dal gelo sprofondano lentamente sulla superficie ghiacciata di un lago dell’Europa Centrale, un’immagine di desolata solitudine, struggente e potente nella sua tragica semplicità che ci mostra tutta la sofferenza e il dolore dello sradicamento, del peso della memoria e della Storia. È probabilmente questo uno degli aspetti più interessanti dell’arte israeliana contemporanea, il saper mescolare tradizione e innovazione nella realizzazione di lavori impregnati di una memoria storica collettiva che invita alla riflessione, pur non scadendo mai nella banale ovvietà del citazionismo.
Il fascino estetico legato ai passati sistemi di classificazione scientifica usato dagli studiosi di zoologia e botanica è il tema centrale del video di Salvatore Arancio (Catania, 1974) Birds (2012) che l’artista ha girato in super 8 all’interno del Museo di Zoologia di Bologna. L’opera ci mostra la straordinaria collezione ornitologica di esemplari italiani riunita dai collezionisti Zaifagnin e Bertocchi nella prima metà del ‘900. Il disorientamento visivo caro a questo artista è qui utilizzato per enfatizzare la sinistra e misteriosa natura di ogni singola inquadratura e gli animali impagliati raccontano un mondo che è stato cristallizzato nell’assolutezza immobile della morte. Il disboscamento a fini commerciali sta privando molte specie animali del loro habitat naturale mettendoli a rischio di estinzione e queste immagini di volatili immobili potrebbero essere una triste prefigurazione di un futuro privo di uccelli nel cielo.
Elena Mazzi (Reggio Emilia, 1984) nel suo lavoro indaga il rapporto tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda, nel quale vive e con il quale si confronta ogni giorno. Una ricerca artistica quasi di tipo antropologico per analizzare un’identità che è allo stesso tempo sia personale che collettiva. Importante è per questa artista il rapporto con uno specifico territorio di cui deve avere esperienza diretta e non mediata o distorta dai mezzi di comunicazione. Sara Tirelli (Gorizia, 1979) è un’artista e filmmaker il cui lavoro si colloca lungo il confine tra arte e cinema. Nella sua ricercal’esperienza cinematografica è intesa come processo sensoriale e cognitivo ed i suoi lavori indagano il rapporto tra percezione, media e cultura. In A Fragmented world (2016), Mazzi e Tirelli, propongono una visualizzazione della teoria delle fratture del fisico Bruno Giorgini. L’interazione fra arte e scienza produce sempre interessanti risultati come si evince guardando questo complesso e visivamente affascinante lavoro, che utilizza il paradigma della dinamica delle fratture riguardante la morfogenesi e la morfo-dinamica del paesaggio vulcanico dell’Etna. La stratificazione del vulcano siciliano cambia infatti continuamente la sua conformazione a causa delle numerose eruzioni. Le inquadrature iniziali ci mostrano la potenza della natura; sono delle immagini sovrapposte di alcune zone dell’Etna realizzate in momenti diversi. Alcune sono state prodotte in anni passati a scopo puramente scientifico per valutare le variazioni morfologiche della struttura vulcanica, mentre altre sono state realizzate dalle autrici del video. Questa modalità di sovrapposizione delle immagini illustra il ciclo di trasformazione che ha subito questo territorio brullo e discontinuo. Nel video ad un tratto entra inaspettatamente in scena un podista che corre sul terreno vulcanico. Questa presenza umana – incongrua e spiazzante – e la velocità con cui il podista si sposta sul terreno accidentato, danno una consistenza diversa al paesaggio rendendolo assai più concreto, e a noi contemporaneo.
José Guerrero (Granada, 1979) e Antonio Blanco (Jerez de la Frontera, 1979) sono due artisti spagnoli, rispettivamente artista visivo e compositore, che si sono conosciuti mentre erano residenti presso la Real Academia de España di Roma, a cavallo tra il 2015 e il 2016 e che, in seguito alla residenza, hanno deciso di realizzare questo progetto video a quattro mani. José, che lavora principalmente con la fotografia, ha realizzato nella capitale questo suo primo video con il commento sonoro di Antonio, compositore musicale, che si è appassionato all’idea che Roma, l’Urbs Aeterna, potesse lasciare una traccia nella narrazione della sua musica. Il video è un viaggio non convenzionale attraverso Roma, i luoghi da cartolina sono stati evitati per evitare il peso di stereotipi estetici troppo ingombranti preferendo mostrare della capitale dei luoghi e degli elementi secondari, meno noti, ma non per questo meno affascinanti, come l’antico acquedotto Aurelio e l’acqua del Tevere che diventa la protagonista del video. Roma 3 Variazioni (2016) è una trilogia che presenta un dialogo perfetto fra immagini e musica e ci mostra una Roma diversa, lontana dalla sua convulsa realtà urbana, una Roma quasi bucolica attraverso un percorso che diventa metafora della vita.
L’artista iraniana Shadi Harouni (Hamedan, 1985) ha girato il video The Lightest of stones in una cava di pietre del Kurdistan dove un gruppo di uomini, confinati in quel luogo inospitale a causa delle loro idee politiche, discutono di ISIS, di antiche leggende popolate da draghi ed eroi mitologici, di arte e delle sexy-dive americane come Jennifer Lopez. L’artista, girata sempre di schiena, scava con le mani nude la terra per estrarre delle pietre, mentre gli uomini continuano a chiacchierare fra di loro fra il serio e il faceto interrogandosi anche sul senso dell’azione fisica faticosa e illogica che la ragazza sta compiendo.
Rä di Martino (Roma, 1975) nel video Poor Poor Jerry (2018) utilizza il linguaggio dell’animazione attingendo a quell’immaginario collettivo e facilmente condivisibile che si è formato negli anni attraverso il cinema, la televisione e la musica. L’artista mette in scena una vera e propria “desolazione animata” sovvertendo l’abituale leggerezza del linguaggio pop, svelandone quindi la vacuità, per accompagnarci nell’inaspettato processo introspettivo di un personaggio dei cartoon. Jerry, il famoso protagonista dei cartoni animati americani Tom & Jerry, appare stanco, invecchiato e solo, si aggira triste e pensieroso in un paesaggio inospitale, desertico e disabitato, forse una prefigurazione di un desolato scenario naturale postatomico. La traccia sonora che fa da sottofondo al suo peregrinare stanco è composta da spezzoni di dialoghi e frammenti di canzoni amorose e romantiche tratti da alcuni film famosi e facilmente riconoscibili dal grande pubblico. Il video mette in crisi il nostro bagaglio di ricordi ed emozioni legati all’entertainment sia perché ci mostra una figura che siamo soliti associare a delle emozioni positive in un momento di profonda crisi personale, sia perché ci mette davanti la desolazione del paesaggio ben lontano dalla piacevolezza di quello tipico dei cartoon.
MASBEDO (Nicolò Massazza, Milano 1973, Iacopo Bedogni, Sarzana 1970) nel video Le Voeu (2014) inquadrano una mano femminile di pietra che giace nel fondo di un vaso trasparente pieno d’acqua. Circondata dai tentacoli violetti delle meduse che le nuotano intorno sembra in supplice attesa di un aiuto. Un’altra mano, maschile, la raggiunge e la tiene stretta con forza nonostante le meduse urticanti che gli bruciano la pelle. Forse solo la forza dell’amore ci potrà salvare? L’amore inteso come atto di ribellione contro il destino, contro un finale già scritto, l’amore come coraggio, come capacità di accogliere il prossimo, anche chi è diverso, l’amore come capacità di sacrificare una parte di noi stessi per la salvezza dell’altro