Data di scadenza Giovedì, 04 Luglio 2019
Dal 12 aprile al 4 luglio il nuovo appuntamento di Solo è dedicato a Vincenzo Agnetti tra i principali esponenti dell’arte concettuale con un’originale riflessione sul rapporto tra tempo e spazio
Curato da Giovanni Iovane, il nuovo appuntamento di Solo (12 aprile 2019 – 4 luglio 2019) è dedicato a Vincenzo Agnetti, tra i principali esponenti dell’arte concettuale, artefice di una ricerca fondata sul linguaggio attraverso la quale sviluppa, con fare ironico e poetico, un’originale riflessione sul rapporto tra tempo e spazio, sulla comunicazione, sulla critica politico-sociale.
Amico di Enrico Castellani e Piero Manzoni, con cui condivide ideali e progetti, inizia la propria attività espositiva nel 1967 con una personale al Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Nel febbraio 1971 espone alla Galleria Blu di Milano una serie di feltri e di bacheliti, inaugurando un prolifico filone della sua attività creativa. I primi sono pannelli, incisi a fuoco o dipinti con colore, raffiguranti ritratti e paesaggi basati su ridondanze letterarie; i secondi, che si contrappongono ai feltri per freddezza mentale e rigore concettuale, sono lastre di bachelite incise e trattate con colori ad acqua o nitro, in cui diagrammi e frasi esprimono assiomi, tautologie, contraddizioni, paradossi.
Le opere in mostra costituiscono un nucleo significativo di questa tipologia di lavori;
L’etimologia sia di “città” che di “territorio” è fondamentale per la comprensione o la semplice visione di questa mostra personale di Vincenzo Agnetti che presenta tematiche essenziali all’interno della sua esperienza artistica. Agnetti indaga i due concetti attraverso feltri e assiomi in cui l’idea e l’immagine della città e del territorio si coniugano con la storia etimologica delle parole. “Città” deriva dal latino civitas (derivazione di civis, cittadino) e dunque significa “insieme di cittadini” divenendo, nel tempo, “aggregato di abitazioni”. “Territorio” rimanda invece alla terra ma possiede anche un carattere negativo dettato dalle misurazioni, dalla suddivisione e soprattutto dalla definizione dei confini, all’origine di conflitti e abusi d’identità. Le immagini di città e territorio di Vincenzo Agnetti, sempre contemporanee, aiutano lo spettatore a ripensare la propria città, presentandosi, con un approccio apparentemente paradossale che unisce memoria a oblio, come una originale archeologia del sapere.
Sono così presenti in mostra “feltri” e “assiomi” degli anni Settanta, che testimoniano perfettamente come Agnetti intendesse queste due tipologie di opere (i “feltri” sono appunto quadri su cui l’artista interviene con frasi dipinte; gli “assiomi” sono invece bacheliti nere sui cui sono incise frasi assiomatiche e diagrammi) come oggetto di una originale ricerca artistica. E lo stesso Agnetti rilevava come l’arte sia una forma alta di ricerca:
“Da un presupposto teorico costruisco un discorso di due o più cartelle scritte. Poi per mezzo di una decantazione logica sintetizzo in assioma tutto il contenuto emerso.”
La ricerca artistica di Vincenzo Agnetti si fonda su un atto linguistico in cui i procedimenti della sottrazione e della permutazione sono elementi essenziali e caratterizzanti.
In questo “percorso” che non è solo concettuale, assume importanza l’effetto e talora la condizione dell’atto performativo. Come notava Marco Meneguzzo, che si è dedicato allo studio della sua opera, la “scrittura” di Agnetti è paragonabile alla “scrittura scenica” praticata da Carmelo Bene. Tempo, arte, memoria, storia sono condizioni generali sottomesse a una introspezione o meglio a una precisa prospettiva culturale. “La cultura è l’apprendimento del dimenticare” (Vincenzo Agnetti).
Un progetto ideato da Sergio Risaliti a cura di Giovanni Iovane